Se si potesse misurare l’attenzione mediatica ricevuta da una nazione nell’arco di un decennio, poniamo gli anni Dieci del Ventunesimo secolo, la sensazione è che pochi paesi vanterebbero la rassegna stampa raccolta dalla Grecia, tenuto conto delle ridotte dimensioni – geografiche, economiche e demografiche. Pochi paesi, inoltre, sono capaci di generare un ventaglio così eterogeneo di rappresentazioni a seconda del punto di vista dell’osservatore. Volendo prestarci a questo gioco, con una dose abbondante di generalizzazione, la Grecia è un nemico storico se la guardi da Est (tanto per dire: quella che i turchi chiamano «Indipendenza» è per i greci la «Catastrofe»), una meta agognata se la guardi dal Medio Oriente o dalla sponda opposta del Mare di Mezzo, un pericoloso parente da cui prendere le distanze se ti trovi a Ovest (vedi alla voce: «non siamo la Grecia»), tomba dell’Unione europea se sei del Nord e culla della civiltà occidentale se ci stai dentro. Ma anche: vittima sacrificale di interessi superiori se sei una colomba, irredimibile malata di corruzione e burocrazia se sei un falco. Sembra impossibile, per chiunque, non avere un’opinione decisa sulla Grecia. È la fregatura di finire sul palcoscenico del mondo: le notizie rimpiazzano le storie, le sensazioni si sostituiscono ai fatti, i personaggi prendono il posto delle persone. Come tutti gli altri, anche la redazione che ha curato questo volume aveva un’opinione sulla Grecia e, guarda caso, ognuno ne aveva una diversa. Ci siamo impegnati a sospenderle per cercare di restituire dignità e spazio a storie, fatti e persone. Se ci siamo riusciti lo deciderà il lettore, ma una cosa è certa: dopo questo lavoro abbiamo provato a riprenderle, quelle opinioni, e abbiamo capito che non servivano più.