Il <i>Requiem dal buio e dal frastuono</i> non vuole essere semplicemente una preghiera per i morti. Al contrario, come tutte le messe cantate della tradizione occidentale, la silloge parla ai vivi della vita; racconta, s&igrave;, il lutto, ma per metterlo al centro di un percorso di risalita, di ritorno alla luce ostinato e inestinguibile.<br />Canto del dolore e, al tempo stesso, sua elaborazione nella compassione, intesa nell&rsquo;accezione pi&ugrave; vera ed etimologica di <i>cum patior</i>, soffrire con, il <i>Requiem dal buio e dal frastuono</i> &egrave; una celebrazione laica che si assorbe tutta nella speranza, davvero umana, della condivisione e dell&rsquo;affratellamento con l&rsquo;altro.<br />I trentaquattro canti che lo compongono, distribuiti nelle parti canoniche della tradizionale <i>Missa pro defunctis</i>, pi&ugrave; due di appendice, costituiscono un caleidoscopio ideale di ritmi e intonazioni, di ombre e di anime, di reale e di onirico in cui ognuno &egrave; chiamato a riconoscersi in un anelito a un&rsquo;utopica universalit&agrave; del sentire. Ma essi sono anche una ricerca di quella <i>parola che ancora non dice</i> da opporsi al vuoto frastuono dei proclami cui ci ha tristemente abituati il mondo contemporaneo; un <i>non dire ancora</i> in cui l&rsquo;Amen che arriva, infine, a chiudere il cerchio, in realt&agrave;, &egrave; l&igrave; solo per aprirsi a nuove, infinite possibilit&agrave;.