Quando la guerra fin&igrave;, zio Ciccito era un garzone di cantiere con la licenza elementare e pochi soldi in tasca. Ciccito part&igrave; alla ventura e non diede pi&ugrave; notizie di s&eacute; per quindici anni finch&eacute; un giorno ritorn&ograve; capo attrezzista di una grande compagnia di mimi che girava il mondo.<br />Lo ospitammo nella nostra casa al mare. Era estate, io e lui sedevamo in veranda, fuori splendeva un sole abbagliante. Ciccito teneva intrecciate sul grembo le mani larghe come pale, la sua mole celava la seggiola di vimini e lui pareva sospeso in aria. Come cedendo a una tentazione, zio disse:<br />- Credimi, ci sono posti molto pi&ugrave; felici di questo.<br />Io lo guardai senza capire. Lui prosegu&igrave;:<br />- Non c&rsquo;&egrave; neppure teatro... dove c&rsquo;&egrave; il teatro, la grande musica, c&rsquo;&egrave; la vita. Qui tutto &egrave; immobile, si tira avanti perch&eacute; nascono i figli. Non &egrave; un posto fatto per i giovani questo.<br />Zio cantava brani d&rsquo;opera, declamava a memoria Shakespeare, ma soltanto quando pap&agrave; non poteva udire perch&eacute; mio padre considerava il teatro una &ldquo;cosa voluttuaria&rdquo; e i discorsi di Ciccito chiacchiere di un randagio che non era stato capace di farsi una posizione. Pap&agrave; mi vedeva pendere dalle labbra di quell&rsquo;omone calvo che parlava d&rsquo;arte suadente e ironico, e, come se un presagio lo inquietasse, tentava di spegnere la mia ammirazione borbottando severi giudizi su di lui. Avrebbe voluto dirmi:<br />&ldquo;Vedi dove l&rsquo;ha portato &ldquo;l&rsquo;arte&rdquo;? Adesso &egrave; povero e precario&rdquo;.<br />Ma io, anche se ero ancora un ragazzo, avevo deciso che volevo la mia avventura, come Ciccito.<br /><br />&nbsp;