Alle volte si brancola nel buio alla ricerca di un interruttore, altre si annega in punti di non ritorno. Pu&ograve; capitare a chiunque. Sono quei momenti in cui si ha la netta sensazione di non avere pi&ugrave; un ruolo nella propria storia, pensando che la trama sia stata sovvertita da una mano che impugna un calamaio esclusivamente nostro. Quei momenti in cui pensi: <i>non doveva andare cos&igrave;! </i>&Egrave; ci&ograve; che accade a Giorgio che, in una tempesta di domande senza alcuna risposta, davanti a un attimo spezzato, un cordone ombelicale reciso, in preda alla paura sente il desiderio di uscire fuori, per sempre, dalle righe del suo <i>quaderno</i> e ci prova. Il punto &egrave; che nessuno pu&ograve; cancellarsi o essere cancellato lasciando dei puntini sospensivi. Non &egrave; giusto. Per fortuna, nonostante l&rsquo;essere diventati i pi&ugrave; criptici dei messaggi, la vita &egrave; disseminata di persone che possono e scelgono di decifrarci: gli animologi. Si fanno avanti da uno dei tanti punti del foglio e cominciano, pian piano, a guidare la mano in un esercito di punteggiatura e diluvi di parole, permettendoci di guarire.<br />Accanto a Giorgio arriva Levante: gli fa dono, nel silenzio, delle sue parole imbustate, vecchie di anni bellici, intrise di lacrime, speranza, ma costantemente d&rsquo;amore. Il divario generazionale &egrave; per&ograve; intangibile, vicini come sono empaticamente nello sterile spazio di una bianca corsia, in cui viaggia un ritorno a casa dall&rsquo;essenziale, come insegnano quei casi di miseria in cui a colmare i morsi della fame ci pensa un semplice pugno d&rsquo;erba bollita. Una sorta di pozione magica che andrebbe data in pasto a chiunque smarrisca il senso di s&eacute; e della propria vita. Giorgio, curato dalle lettere di Levante, lo comprende e non ferma il potere salvifico di quelle parole, diventando a sua volta un animologo.<br />Romanzo forte e intenso, melanconicamente sorprendente.