<br /><!--StartFragment--><br />Utilizzare un codice segreto decifrabile solo da pochi eletti &eacute; sempre stato un espediente per divulgare esperienze straordinarie vietate alla conoscenza delle masse, gi&agrave; addomesticate a dovere da domatori politici e spirituali.<br />Pu&ograve; accadere che un momento storico non sia particolarmente repressivo e che la divulgazione dipenda esclusivamente dalla volont&agrave; dell&#39;informatore, come nel caso di Leopardi. Nel 1200 Guido Cavalcanti, maestro spirituale di una setta di ricercatori della Verit&agrave;, fra cui Dante, Lapo, Guinizelli ed altri, utilizzava un linguaggio segreto composto di parole d&#39; uso comune, ma di significato completamente diverso, cos&igrave; evitava l&#39;attenzione della Santa Inquisizione. Le poesie del Dolce Stilnovo sono direttive di Cavalcanti ai suoi discepoli, una sorta di corrispondenza privata. Leopardi, in alcuni suoi canti, ha utilizzato lo stesso &nbsp;metodo, ed &eacute; interessante leggere la mia Proposta d&#39;Interpretazione su Giacomo Leopardi dove evidenzio in alcuni passaggi la stessa tecnica utilizzata da Dante, nella Divina Commedia, e da Leopardi in alcuni Canti.&nbsp;<br /><!--EndFragment-->