Franz Kafka va letto tenendolo in tasca, come un coltello, pronto a scuoiare le nostre convinzioni, a elettrizzare il giorno con una illuminazione inattesa, all’assalto. “I frammenti, gli aforismi e le parabole di Kafka”, ha scritto Harold Bloom, il più autorevole – e battagliero – critico americano del secolo scorso, “hanno un posto centrale nell’autentica spiritualità del tempo”. Se Marcel Proust, James Joyce, Thomas Mann, William Faulkner hanno segnato la letteratura moderna, “Kafka appare diverso, in un modo che sembra sottrarsi a qualunque descrizione”. Senza tempo, implacabili, restii a ogni protervia esegetica, gli scritti di Kafka ci rincorrono, ci tengono in ostaggio: non possiamo farne a meno. Eppure, Kafka va sussurrato, va letto sbirciandolo, in diagonale, negli attimi rubati, con la gioia di essere confusi. Per questo, questo libro, limpido come un breviario, raccoglie testi inconsueti e meno noti – Egli, un testo abbozzato nel 1920, dalla vertigine mistica; una selezione dai frammenti e dai diari – che ci consentano di inabissarci nell’anima santa di un uomo assoluto, che “conosceva il mondo in modo insolito e profondo perché era lui stesso un mondo straordinario e profondo” (così Milena Jesenská, legata a Kafka da uno dei rapporti epistolari più conturbanti della storia).