Giancarlo Cotone affresca una silloge dai contorni sfumati, in cui sogno e incubo, bene e male, si affrontano e confondono in una danza senza vincitori n&eacute; vinti.<br />Tranne rare eccezioni, &egrave; difficile definire inequivocabilmente cosa sia il male e cosa il bene. Stante o proprio a causa di questa imprescindibile dicotomia, la silloge &egrave; idealmente suddivisa in due parti: nella prima l&rsquo;Autore si affida a una sottile vena ironica per esplorare i recessi nascosti dell&rsquo;animo umano, nella seconda lascia che si imponga una soffusa dimensione onirica. L&rsquo;esemplificazione di queste due anime si ritrova nella misterica figura di Adelmo Petrolo Portinari, di cui ognuno di noi pu&ograve; decifrare, alla luce della propria sensibilit&agrave;, la chiave di lettura.<br />Dodici storie che prendono l&rsquo;avvio da un fatto quotidiano per rivelare, poco alla volta, l&rsquo;esistenza di piani di coscienza diversi.<br />Nella prima parte si fatica a non simpatizzare con mostri e vampiri molto umani, anche quando i mostri stanno nella nostra testa e sono quelli che, citando Stephen King, fanno pi&ugrave; paura. Le umane debolezze e fobie inevitabilmente traghettano individui deboli verso la nemesi di se stessi, pizzicando corde da cui risuona la paura.<br />Nella seconda, spicca una serie di figure irreali e fantasiose, di storie di oggetti e di antiche civilt&agrave;, che spesso rimandano a una figura chiave per l&rsquo;Autore, quella del nonno, visto come una presenza intensa ma temporanea nella vita di un bambino, che deve concentrare in pochi anni tutto l&rsquo;affetto di una lunga vita. I racconti di questa ultima parte toccano corde che restituiscono un suono struggente e lontano di amore e nostalgia.