Definito da Lacan un <i>rebut de la soci&eacute;t&eacute;</i>, lo psicanalista pu&ograve; esistere solo nell&rsquo;indeterminatezza, senza poter occupare un posto, assumere un ruolo, avere una funzione o una missione sociale definita: tutte quelle prerogative, insomma, che contraddistinguono &ndash; in primo luogo giuridicamente &ndash; una professione. Nella misura in cui l&rsquo;analista legittima il suo atto attraverso l&rsquo;autorizzazione di un terzo e si qualifica, si priva di quella sua preziosa <i>duplicit&agrave;</i> che Guy Le Gaufey pone a fondamento del transfert, e che ritroviamo in formule quali: &laquo;<i>La situazione analitica non tollera terzi</i>&raquo; (Freud) o: &laquo;<i>L&rsquo;analista non si autorizza che da s&eacute; stesso</i>&raquo; (Lacan). Basta infatti che egli dichiari la finalit&agrave; del proprio atto, basta che si prefigga un qualunque ben determinato scopo, o lo condivida con l&rsquo;analizzante &ndash; fossero pure la cura e la guarigione &ndash; perch&eacute; il transfert, da &laquo;messa in atto della realt&agrave; dell&rsquo;inconscio&raquo;, lasci il posto a un&rsquo;altra realt&agrave;: terapeutica, pedagogica, educativa, morale..., o &ldquo;semplicemente&rdquo; alla realt&agrave; &ldquo;tout court&rdquo; a cui ricondurre il &ldquo;paziente&rdquo; che l&rsquo;avrebbe smarrita.<br />Ma vivere &laquo;ai confini delle terre giuridicamente accatastabili&raquo;, non &egrave; forse anche la condizione imprescindibile di chiunque non voglia rinunciare a appartenere a s&eacute; stesso? L&rsquo;inconscio pu&ograve; vivere solo ai confini del diritto, delle istituzioni e delle regole che danno ordine alla societ&agrave;, in una dimensione indefinita e non bene individuata. Se il diritto avanzasse delle pretese sull&rsquo;inconscio a qualsiasi titolo, ci troveremmo di fronte al peggiore dei totalitarismi: fare dell&rsquo;inconscio un &ldquo;oggetto&rdquo; di regolamentazione, una materia da normare. Ne conseguirebbe un&rsquo;appartenenza <i>senza limiti </i>dell&rsquo;individuo allo Stato, inclusa quella parte di s&eacute; stesso che egli non conosce, su cui la sua coscienza non ha giurisdizione, quel &ldquo;resto&rdquo; che sfugge a ogni logica della rappresentazione e di cui non&nbsp; si pu&ograve; essere privati senza perdere la propria singolarit&agrave;.<br />Attraverso un&rsquo;indagine storica che partendo dalla grande opera di Kantorowicz <i>I due corpi del re</i>, suffragata dai drammi storici di Shakespeare, passa per il <i>Leviatano</i> di Hobbes e per le funamboliche vicende di quel &ldquo;magnetismo animale&rdquo; di Mesmer, che confluir&agrave; nella Rivoluzione francese, per approdare alle forze oscure che agiscono nell&rsquo;ipnosi e infine alla nozione di transfert elaborata da Freud e Lacan, questo libro si interroga con passione e rigore sul problema di sempre: <i>l&rsquo;appartenere a s&eacute; stessi</i>.<br /><br />Guy Le Gaufey (1946) pratica la psicanalisi a Parigi. Co-fondatore della rivista <i>Littoral</i>, gi&agrave; membro dell&rsquo; &Eacute;cole Freudienne de Paris fondata e diretta da Jacques Lacan, &egrave; stato direttore dell&rsquo;&Eacute;cole Lacanienne de Psychanalyse (E.L.P.), di cui oggi &egrave; membro. Dei suoi numerosi libri, tutti pubblicati presso E.P.E.L., <i>Anatomie de la troisi&egrave;me personne</i> (1998) &egrave; il primo tradotto in italiano. Appassionato traduttore, ricordiamo le traduzioni dall&rsquo;inglese di <i>La vie avec un trou dedans </i>e di <i>Une fille en hiver</i> di Philip Larkin (entrambi presso Thierry Marchaisse &Eacute;ditions, 2011).