Non volevo godere, ecco. Perché avrei perso il controllo, permettendo a qualcuno di diventare testimone di un piacere che non avrei più potuto condividere con Robert. Ecco la ragione di tutto quel turpiloquio: insultare Stephen mi faceva sentire meno in colpa, quasi che, se e quando la sborrata si fosse manifestata, avrei potuto attribuirne la colpa (colpa, non merito) alla sua lascivia.
Non reggeva più. Lo stavo sfiancando e dalla sua bocca un lamento che andava e veniva sottolineava il mio affondare e ritrarmi, potente come un’onda di tempesta che si ostina a infrangersi sugli scogli.
Fu quello che trovò la forza di dire a cambiare lo stato delle cose, spiazzandomi completamente.
«Ti prego Corrado, permettimi di guardarti venire…»
Un modo come un altro per dirmi che non poteva reggere ancora a lungo sotto gli effetti di quella monta selvaggia, e che era certo di potermi offrire un gran lavoro di lingua sul cazzo probabilmente lordato di merda, purché offrissi un po’ di requie al suo sfintere contuso.
Sì, la mia testa colma di fredda logica spigolosa mi offrì proprio quelle immagini, tanto per garantire l’intangibilità della mia anima alle emozioni, ma il cuore la fregò, sbattendosene allegramente il cazzo e attingendo alla memoria.

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