Non sono scrittore, ma scrivo perch&eacute; non vada perso il resto del cibo che mi ha miracolosamente tenuto in vita fino ad ora.&nbsp;<br />Scrivo per l&rsquo;immenso debito che ho con la luce che riflette i tratti del tuo volto, Signore, confuso con il mio. Forse potrei chiamare questo scritto un <b><i>&ldquo;lucernario&rdquo;</i></b>, un rituale di luce; una luce non violenta, una fiamma umile, intensa e trepidante che scaturisce dal cero pasquale. &ldquo;Un fuoco amico&rdquo; pi&ugrave; simile al roveto ardente che ad una foresta in fiamme.&nbsp;<br />Scrivo per non dimenticare tutti i passi percorsi sulle tue luminose tracce alla ricerca di me stesso.&nbsp;<br />La verit&agrave; che avvolge la mia esistenza deve fare i conti con la vulnerabilit&agrave;, la fragilit&agrave;, la precariet&agrave;, ed anche con il mio peccato che prima di trasformarsi in <i>&ldquo;felix culpa&rdquo;</i> &egrave; pur sempre dimora di morte.&nbsp;<br />Scrivo per condividere la benedizione che mi &egrave; toccata in sorte come prete precario.&nbsp;<br />Scrivo per dirti, Signore, che non ho pi&ugrave; bisogno delle tue promesse per camminare: il cammino &egrave; la mia benedizione. Sedotto in giovane et&agrave;, grato da adulto.