Mario Rapisardi (1844-1912), scrittore, poeta, classicista, docente universitario e libero muratore, &egrave; una di quelle figure che dovrebbero essere di buon grado celebrate come assoluti e indiscussi giganti della letteratura italiana ed europea, eppure pochi oggi conoscono il suo nome e leggono le sue straordinarie opere. Sul &ldquo;Vate Etneo&rdquo; - come egli stesso si appell&ograve; nel suo autoritratto poetico in stile foscoliano presente nel poema <i>Atlantide</i>, &egrave; calata nel corso del Novecento una tacita damnatio memoriae.<br />L&rsquo;<i>Atlantide</i>, uscito nel 1894, &egrave; una complessa e articolata satira dei letterati e degli intellettuali del tempo, tra cui Charles Darwin, Karl Marx e perfino Isaac Newton. Non venne assolutamente compreso dalla critica, che lo boll&ograve; come &ldquo;poema socialista&rdquo; per via di alcuni richiami, in esso contenuti, al filosofo di Treviri e al Materialismo in genere. Ma una simile chiave di lettura &egrave; da ritenersi del tutto superficiale. Cos&igrave; come la <i>Palingenesi</i>, il <i>Giobbe</i> e il <i>Lucifero</i>, al di l&agrave; del suo fragore quasi futurista e al contempo profetico, &egrave; anche un&rsquo;apoteosi della Natura, della ciclicit&agrave; della Storia e del Pensiero umano libero da superstizioni religiose e morali, da dogmi ingabbianti e annichilenti. L&rsquo;<i>Atlantide</i> &egrave; anche un metaforico viaggio orfico agli Inferi della storia e della contemporaneit&agrave;, &egrave; una gita gioiosa e scalpitante all&rsquo;interno della Caverna di Platone. &Egrave; un viaggio nelle profondit&agrave; di noi stessi. &laquo;Atlantide - scriveva Pier Carpi - &egrave; sicuramente in noi. &Egrave; quel continente inesplorato, in parte atrofizzato, a volte perfino ucciso, che &egrave; in ogni uomo&raquo;.