Questo opuscolo &egrave; composto da due brevi capitoli: &ldquo;Nessun diritto al santuario&rdquo; e &ldquo;Un anno dopo&rdquo;.<br />Nel primo insisto sull&rsquo;opportunit&agrave; di riconoscere e affrontare la guerra civile che &egrave; in atto, resa manifesta dall&rsquo;&ldquo;emergenza sanitaria&rdquo; relativa alla pandemia. Anche le posizioni pi&ugrave; critiche &ndash; che hanno denunciato la sottomissione dei governi al potere del nuovo capitalismo e al suo progetto di liquidazione delle tradizionali forme politiche delle democrazie occidentali &ndash; hanno forse trascurato che la gran parte della &ldquo;gente&rdquo; non solo &egrave; disposta a sacrificare tutto in cambio della &ldquo;nuda vita&rdquo;, ma quello che appare come un &ldquo;sacrificio&rdquo; potrebbe essere un <i>desiderio</i>.<br />Nel secondo riprendo la parola, dopo un anno di silenzio, per confutare la pandemia recepita unicamente come l&rsquo;evidenza di una realt&agrave; sanitaria inoppugnabile, di fronte a cui ogni dubbio, discussione e interpretazione sono giudicati moralmente offensivi e irresponsabili, se non proprio folli e criminali.<br />Eppure, il fatto che la pandemia abbia prodotto in pochissimo tempo un&rsquo;immensa letteratura mondiale, ci rivela quanto ci sia necessario continuare a <i>interpretarla</i> mobilitando tutti i registri del sapere. Che bisogno ne avremmo se si trattasse di una pura e semplice emergenza sanitaria, per quanto &ldquo;globale&rdquo;? Segno che, lungi da limitarsi a essere una realt&agrave; biosanitaria di cui solo gli immunologi avrebbero la competenza e il diritto di parlare, l&rsquo;evento &ldquo;pandemia&rdquo; non cessa di interrogarci tutti, uno a uno, a partire dalla domanda che sta al suo centro: <i>chi &egrave; il mio prossimo?</i><br />&nbsp;