Il viaggio verso la guarigione è una grande avventura. Non si sa quanto possa durare, non ci è nota la condizione della strada, non conosciamo le condizioni meteo. Ci si interroga su cosa portare con sé: che tipo di abbigliamento, quale attrezzatura. E poi chissà come sarà… All’eccitazione iniziale si possono affiancare mille interrogativi, perplessità, dubbi. Domande del tipo «Cosa mi può capitare durante il tragitto?» oppure «Ne varrà davvero la pena?» sorgono quasi automaticamente.
Tutto ciò è ben noto a chi soffre di un disturbo del comportamento alimentare. Quando si arriva alla consapevolezza della malattia e ad accarezzare l’ipotesi di voler guarire, i ma e i però si affollano. Le pazienti sono tanto stanche della loro malattia quanto spaventate da ciò che possa comportare la guarigione.
Anche quando il percorso psicoterapeutico è avviato e ci si sente pronti ad affrontare un cambiamento nella condotta alimentare, il pensiero di come poter/dover mangiare da lì in avanti  è costante (...).
“Non ho la presunzione di insegnare niente a nessuno; ogni personale storia, ogni profondo disagio, ha origini e copione propri, ma voglio assolutamente affermare e sottolineare che, comunque, la malattia è una sola e che in modo subdolo e talvolta poco palese entra nella vita di un individuo e senza né chiedere né ottenere permesso, se ne appropria distruggendo l’armonia fra mente e corpo fino a smarrire la propria identità.”