Dopo una carrellata sull&rsquo;emigrazione italiana in Brasile, l&rsquo;autrice si addentra nell&rsquo;era del caff&egrave; che segue quella dello zucchero e dell&rsquo;oro e che finir&agrave; per dominare la vita economica, culturale e sociale dell&rsquo;intero Paese. Lo sviluppo urbano di Campinas, Araraquara, Riber&atilde;o Preto e Piracicaba appare fin da subito impressionante ma l&rsquo;espansione pi&ugrave; grande &egrave; quella che vivr&agrave; S&atilde;o Paulo (al tempo decima citt&agrave; del Paese dal punto di vista demografico), tanto che i suoi abitanti (e gli immigranti che vi giungono da ogni parte) si moltiplicano vertiginosamente nello spazio di pochi anni.<br />Seppur indirettamente, il caff&egrave; ci introduce alla parte centrale del libro attraverso l&rsquo;emigrazione di 22 famiglie ascolane che nei primi anni Cinquanta lasciarono le Marche dopo aver acquistato terreni agricoli in Brasile. Ingannati dallo Stato italiano, si ritroveranno a vivere in regime di semi-schiavit&ugrave; nelle fazendas di caff&egrave; e canna da zucchero da cui fuggiranno di notte grazie all&rsquo;aiuto di un sacerdote veneto.<br />Abbandonato il sogno che li aveva spinti oltreoceano, si rimboccheranno le maniche in citt&agrave; dove costruiranno una seconda vita, godendo di un Paese ospitale, pieno di bellezze naturali e con un buon clima, e ricordando sorridendo le parole del leader del gruppo: &lsquo;I primi dieci anni sono sempre terribili, si sa, ma dopo passa!&rsquo;