È una storia da raccontare al presente, quella che tiene la piccola Repubblica di Lucca sull’orlo dell’abisso dal maggio 1531 all’aprile 1532. I lunghi mesi di tumulti ci mostrano un intreccio di rivendicazioni corporative e salariali, di proteste per il pane, di richieste di rappresentanza politica, di dissidi interni alla nobiltà, di violenze pubbliche e private, di bisogno di lavoro, giustizia e pace sociale, di preoccupazioni per gli equilibri internazionali. La sollevazione è provocata dalle nuove leggi sulla seta, vessatorie nei confronti degli artigiani. Ma da questa breccia irrompe il tema della gestione del potere. All’interno prende avvio un dibattito politico che si fa insolitamente esplicito e diffuso, con un nuovo ruolo dell’informazione. Sul piano internazionale, la rivolta rischia di alterare l’equilibrio raggiunto con l’incoronazione di Carlo V e la marcia verso la pax hispanica. Poteva essere una rivoluzione popolare, poteva essere la precoce affermazione del libero mercato. È stato il trionfo dell’economia morale e dello spirito corporativo, che assicura il pane al popolo e il potere politico agli aristocratici. A noi, oggi, se guardiamo oltre l’orizzonte del caso di studio, quel drappo di seta stracciato continua a proporre alternative assillanti, quelle tra mercato e protezione sociale, tra identità e sicurezza da un lato e, dall’altro, diritti e libertà.