&laquo;Che tu gli vuoi bene, tuo marito lo vedr&agrave; ne&rsquo; tuoi occhi e nel tuo sorriso; tu gliene darai cento prove al giorno, con atti di premura, tenere attenzioni, un interesse gentile per tutto quanto gli riguarda. Gliene darai una prova grandissima se saprai sopportare le piccole contrariet&agrave;, i disappunti, senza aggrottare le ciglia n&eacute; fare il broncio&raquo;.<br /><br />Questi e altri consigli si leggono nel racconto-galateo dal promettente titolo <i>L&rsquo;arte di farsi amare dal marito. Consigli alla giovine sposa</i>, apparso a Milano nel 1889. Ne &egrave; autrice la lombarda Anna Vertua Gentile (1845-1926), figura paradigmatica nel panorama della multiforme pubblicistica femminile, che letteralmente esplode tra la fine del XIX secolo e i primi decenni del Novecento. La produzione di Vertua Gentile colpisce per l&rsquo;eterogeneit&agrave; dei generi affrontati, tra cui spiccano i galatei coniugali, che godono di una notevole fortuna per tutto l&rsquo;Ottocento (e oltre) e che, sia pure entro orientamenti differenziati, esaltano il ruolo della donna come sposa e madre, la cui unica realizzazione possibile rimane quella all&rsquo;interno del focolare domestico.<br /><br /><b>Rita Fresu</b> (Roma, 1967) insegna Storia della lingua italiana e Linguistica italiana presso l&rsquo;Universit&agrave; di Cagliari. Le sue ricerche sono principalmente incentrate sui processi di italianizzazione e di formazione della lingua d&rsquo;uso, e sulle questioni di genere, affrontate soprattutto in prospettiva diacronica, con specifico riferimento ai percorsi di acculturazione delle donne e alla scrittura femminile. Si &egrave; occupata inoltre di Massimo Bontempelli e delle vicende linguistiche legate alla Grande guerra.