Il 27 di gennaio si ricordano tutte le vittime della follia nazifascista, tra queste gli Internati Militari<br/>Italiani.<br/>Gli IMI rappresentano la prima forma di Resistenza, decisiva per le sorti del Paese: i militari<br/>catturati dai tedeschi dopo l’8 settembre 1943 rifiutarono l’onta di servire sotto la bandiera di Salò<br/>e dell’esercito occupante e preferirono l’internamento nei campi di prigionia nazisti.<br/>Seicentocinquantamila: un numero imponente che fa riflettere sulla decisa prevalenza del senso di<br/><br/>onor di Patria rispetto al fascismo fra gli appartenenti alle Forze Armate. Quasi cinquantamila di<br/>questi morirono nei lager in Germania, di stenti, di malattie o per le violenze subite.<br/>Il “no” è stato pronunciato da militari di ogni grado, arma e categoria, appartenenti a reparti<br/>diversi, catturati in territori e circostanze diversi, ristretti in Lager diversi, senza punti di<br/>riferimento, senza suggestioni o imposizioni gerarchiche; cittadini indigenti, benestanti, braccianti,<br/>contadini, impiegati, professionisti, intellettuali, analfabeti, cittadini del Nord, del Centro, del Sud,<br/>delle Isole.<br/>Una pagina di storia ancora poco conosciuta, che non compare nei libri di testo scolastici, su cui è<br/>calato il silenzio per moltissimi anni; una pagina che rivive proprio attraverso la testimonianza di<br/>un internato, Giacinto Tonellotto.