Silvia Sardini si impone con la sua terza silloge come una delle voci pi&ugrave; sorprendenti dell&rsquo;attuale stagione artistico-espressiva italiana. Il titolo ossimorico definisce la costante tonalit&agrave; che sottende al testo poetico, il desiderio di sfidare i limiti della propria natura, di ribaltare il comune sentire, quasi fosse ineludibile il bisogno di affinare secondo canoni inversi il rapporto essenza-forma. Come un&rsquo;epifania, il titolo rimanda a una bellissima e toccante lirica del galiziano Ram&oacute;n Sampedro, rimasto tetraplegico a venticinque anni e che per altri ventinove port&ograve; avanti la sua battaglia per il diritto al suicidio assistito: &ldquo;Mare dentro, mare dentro/ senza peso nel fondo/ dove si avvera il sogno:/ due volont&agrave; fanno vero/ un desiderio nell&rsquo;incontro.&rdquo;<br />La poesia di Silvia Sardini prende le mosse da un&rsquo;emozione diretta, il dolore cieco e sordo incapace di attenuarsi lungo la linea del tempo per la scomparsa del padre. La sua sofferenza si fa forza propulsiva per scandagliare i sentimenti, le speranze e la rabbia senza compiacimento alcuno, affidando alla poesia il ruolo di redenzione dalla sofferenza, poesia che stempera l&rsquo;inquietudine e ricompone il mosaico della vita.<br />Le liriche in silloge reagiscono alla sete di romanticismo che ancora tende a insinuarsi nel quotidiano e a offuscare l&rsquo;essenza stessa della poesia. Stilisticamente, per il ricorso estremo all&rsquo;analogia arrampicata su versi essenziali, franti, sempre pi&ugrave; raramente insidiati dall&rsquo;interpunzione; nei contenuti per la ritrosia verso tutti gli schemi, per l&rsquo;elogio del particolare e per la tendenza al bozzetto, talora affidata, con novit&agrave; assoluta, alla strofa per marcare le sfumature dei sentimenti.<br />Ma la vera sfida della Poetessa &egrave; al Tempo, che tesse coperte di sogni e intanto lacera carne e ricordi per addensare la sua polvere.