<b>&laquo;Un racconto perfetto&raquo;</b>, cos&igrave; il premio Nobel <b>Eugenio Montale</b> <u>defin&igrave; la bruciante opera <i>Casa d&rsquo;altri</i> di Silvio D&rsquo;Arzo</u>, un autore italiano del Novecento, morto prematuramente (a trentadue anni) di leucemia e ingiustamente poco ricordato nel panorama letterario italiano.<br />?<br /><b>Uno dei racconti pi&ugrave; belli del Novecento</b>, tanto che <b>spessissimo nei corsi di scrittura viene indicato come paradigma di racconto &ldquo;perfetto&rdquo;</b>, perch&eacute; considerato esemplare sia dal punto di vista della costruzione narrativa, riuscendo a dire qualcosa di significativo in uno spazio limitato, sia stilistica.<br />?<br />D&rsquo;Arzo ha creato il suo capolavoro <i>Casa d&rsquo;altri</i> nei suoi ultimi mesi di vita. Versato com&rsquo;era nella letteratura inglese, scriveva in modo lineare, arrivando subito al <i>conquibus</i>, senza complicare ulteriormente le cose gi&agrave; complicate di per s&eacute; e non perdendosi in preamboli, digressioni, astrazioni.<br />?<br /><b><i>Pagine, queste del suo racconto, toccate dalla grazia, abbaglianti di semplicit&agrave; e delle quali &egrave; difficile credere che siano state scritte col fiato della Bestia sul collo</i></b><i> </i>(la malattia che si faceva largo nel corpo dello scrittore N.d.R.)<i>. Destini solo abbozzati, ma tutti con una portata universale, un suicidio appena suggerito, la cui tragica banalit&agrave; scuote tutto il senso che sei riuscito a mettere nella tua breve vita spuntata fuori dal nulla. <b>Se ne esce strizzati e gelosi, pronti a dare il proprio regno, e non solo, per scrivere un simile libro</b>; e poi ci si torna su, se ne addomesticano le immagini come le curve di un sentiero, le parole come alberi o pietre, e si continua a non capire come un moribondo abbia potuto scrivere tutto ci&ograve;</i> (Emanuel Venet, medico e scrittore, a proposito di <i>Casa d&rsquo;altri</i>).