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Giuseppe Mazzini. E-book. Formato PDF Rocca D. (Cur.) - Edizioni Simone, 2011 -
Le componenti politiche risorgimentali che a partire dagli anni Venti dell'Ottocento lottarono per l'unificazione dell'Italia erano riconducibili sostanzialmente a due schieramenti: quello moderato e quello democratico. I moderati guardavano con interesse al Piemonte costituzionale di Carlo Alberto e Vittorio Emanuele II, e al suo maggiore statista: Camillo Benso di Cavour. Tra i democratici, la figura di maggiore spicco fu certamente Giuseppe Mazzini, forse il più importante ideologo dei movimenti patriottici italiani ed europei del suo tempo. Mazzini ricoprì cariche di governo soltanto nel 1849, come triumviro durante la brevissima e drammatica esperienza della Repubblica romana; la maggior parte della sua vita, invece, la trascorse in esilio, condannato a morte dal suo stesso governo, organizzando cospirazioni che non ebbero mai gli esiti sperati. Eppure, con il suo contributo teorico e con la sua attività di propaganda, realizzata anche attraverso un infaticabile impegno giornalistico, seppe infiammare e tenere sempre vivo l'entusiasmo per l'Italia unita. Nel 1831 fondò la Giovine Italia, organizzazione politica che aveva l'obiettivo di realizzare una rivoluzione finalizzata a «rovesciare le monarchie corrotte e corruttrici» che governavano la penisola e a istaurare un governo di tipo repubblicano. L'Italia unita, secondo Mazzini, doveva essere il frutto della libera scelta di un popolo educato alle istituzioni e ai valori democratici. La fede nel popolo e nelle sue capacità rivoluzionarie e di autogoverno, inoltre, lo indussero a considerare la monarchia e la Chiesa come istituzioni che ne limitavano la libertà. Il messaggio mazziniano fece presa inizialmente sui ceti imprenditoriali del Nord, ma dovette scontrarsi con la generale arretratezza sociale ed economica della penisola, dominata da un mondo agricolo povero e poco evoluto, impreparato a seguire la strada della rivoluzione; pertanto, non riuscì a produrre che fallimentari tentativi insurrezionali. Nonostante ciò, Mazzini ha lasciato un'impronta indelebile nella storia d'Italia e d'Europa, tanto che il Principe di Metternich, artefice dell'ordine politico europeo uscito dal Congresso di Vienna, disse di lui: Ebbi a lottare con il più grande dei soldati, Napoleone. Giunsi a mettere d'accordo tra loro imperatori, re e papi. Nessuno mi dette maggiori fastidi di un brigante italiano: magro, pallido, cencioso, ma eloquente come la tempesta, ardente come un apostolo, astuto come un ladro, disinvolto come un commediante, infaticabile come un innamorato, il quale ha nome Giuseppe Mazzini.
Vittorio Emanuele II. E-book. Formato PDF Rocca D. (Cur.) - Edizioni Simone, 2011 -
Il 18 febbraio 1861 fu convocato a Torino il primo Parlamento italiano. Il 17 marzo dello stesso anno, il nuovo Stato (formatosi in seguito alla cessione della Lombardia al Piemonte e ai plebisciti con i quali l'Emilia-Romagna, le province del Centro a esclusione del Lazio, e l'intero Meridione avevano accettato di confluire sotto Casa Savoia) assunse formalmente il nome di Regno d'Italia. Dopo tredici secoli, da quando le invasioni dei longobardi avevano avuto come effetto la spartizione della penisola, l'Italia tornava a essere politicamente unita e passava nelle mani di un unico sovrano: Vittorio Emanuele II di Savoia. Celebrato assieme a Garibaldi, Mazzini e Cavour come uno dei Padri della Patria, Vittorio Emanuele II ha avuto senza dubbio un ruolo di primo piano nel processo di unificazione nazionale. Non fece mancare il suo contributo alla causa della libertà e dell'indipendenza della nazione, distinguendosi sul campo di battaglia per valore e determinazione ogni qualvolta le circostanze lo richiedessero. Nel 1849 seppe difendere con caparbietà e fermezza lo Statuto albertino e la bandiera tricolore contro le pretese dell'Austria che ne chiedeva l'abolizione, conquistandosi così il soprannome di «Re Galantuomo». Dieci anni dopo, nel mese di gennaio del 1859, quando con fierezza e coraggio dichiarò in un famoso discorso alla Camera dei Deputati di non essere insensibile al «grido di dolore» che da tante parti d'Italia si levava verso di lui, dimostrò di saper essere il re di tutti gli italiani prima ancora di diventarlo. Eppure, il «racconto» del sovrano valoroso e risoluto che ha contribuito a dar vita a una vera e propria mitologia nazionale (fatta di eroi che mal sopportano di rivelare il loro tratti più umani e forse più veri), non può essere separato da quello del personaggio colto nella sua quotidianità, con i suoi molti difetti e le meno numerose virtù. Vittorio Emanuele era coraggioso e intraprendente, ma anche guascone, sfacciato e imprudente; era generoso e di buona compagnia, ma anche intemperante e irascibile. All'austera vita di corte e alle lunghe e impegnative riunioni politiche, preferiva senz'altro le battute di caccia e gli incontri galanti. La difesa del Parlamento e delle libertà costituzionali doveva essere certo perseguita, ma solo a patto che non intralciasse il destino suo e quello di Casa Savoia. E il destino che, almeno da un certo momento in poi, riconobbe a se stesso e alla sua dinastia fu quello di «conquistare» ad una ad una tutte le province della penisola per rendere l'Italia «una, libera, grande e felice». La sua «missione» si compì nel 1870, con la presa di Roma. In quell'occasione confidò a un suo ministro: «Non mi resta altro che spararmi un colpo di pistola; per gli anni che mi rimangono da vivere non ci sarà nient'altro da prendere!».