Alberto Di Bello eBooks
eBooks di Alberto Di Bello
Milano. Genealogia dell'informeUna storia urbanistica. E-book. Formato Mobipocket Alberto Di Bello - Il Comunitarista, 2019 -
Quando, il 31 marzo 2008, un comitato internazionale ha deciso per l’assegnazione di Expo 2015 a Milano, la città era stata raccontata in mille e duecento pagine dal dossier di candidatura al fine di accreditare l’idea che la manifestazione sarebbe stata solo l’orizzonte temporale di una miriade di progetti in fieri. Il tema proposto dall’esposizione universale, relativo alle energie per la vita e alle risorse alimentari, avrebbe richiesto una riflessione sul poco tempo bastato a scardinare in Lombardia (e in Italia) un equilibrio tra uomo e natura conseguito nel corso dei secoli e operato in nome di un’identità futurista, espressa dall’esaltazione della nuova civiltà meccanica in vista di un comune obiettivo: la creazione dell’uomo nuovo. Il lavoro è rimasto come elemento identitario di Milano, ma se ne è persa ormai la dimensione utopica di fronte al dato della crescente segmentazione e automazione nei processi produttivi. Per una società di consumatori, cioè di lavoratori senza lavoro, la “mobilitazione totale” è riscontrabile ormai soprattutto nell’organizzazione del tempo libero. Milano già capitale della moda e sede naturale della web-economy aveva in effetti manifestato lo scoperto carattere lavorativo di un divertimento che macina impietosamente luoghi, situazioni, modi di essere, bisogni sentiti e desideri effimeri in capannoni industriali dismessi, ex officine, serre e chiese sconsacrate, associando high tech e bioarchitettura, minimalismo e new age. Del tutto dimenticata, non solo nella norma, la lectio borromaica ancora testimoniata durante l’episcopato di Montini, che accostava decadenza della Chiesa (e della sua riforma) e perdita della libertà, anche politica, del popolo fedele, capace di servire ma non di obbedire e condannato al divertimento quale principale, se non unica, passione collettiva. L’aspetto etico si riconnette (ulteriore elemento dell’identità milanese riscontrato in questo saggio) alla scomparsa di quella classe politica di secolare tradizione che mantenutasi salda attraverso la decomposizione dell’edificio visconteo-sforzesco aveva evitato la Riforma e le guerre contadine, arroccata per tre secoli intorno a un Senato che pretendeva onori sovrani. L’influenza di questa élite si era estesa su una parte considerevole della Lombardia attuale, anche per la sua apertura ai ceti emergenti che le aveva consentito di rinnovarsi senza conoscere il fatale inaridirsi delle aristocrazie fondate sul lignaggio, al punto che, con qualche forzatura, si può dire sia arrivata fino al Novecento. Rispetto all’incontrovertibile progressivo disfacimento sociale e culturale di Milano e dell’Italia, al quale solo per una pericolosa comodità euristica si associa la categoria della crisi economica, non resta che la speranza di una presa di coscienza che ovvii alla neutralizzazione della politica. Poco importa allora che, per descrivere in termini positivi la città diffusa (sprawl), alla metafora della rete si siano sommate quelle di puzzle, patchwork, dispositivo frattale. L’esiguo ma influente drappello dei teorici del frammento e dell’indefinito, che ama fare riferimento alle avanguardie artistiche, dimentica che anche l’opera più informale è fatta per essere vista, ossia dominata dallo sguardo dell’uomo che, in quanto organismo vivente, è forma. Il dominio dell’informe urbano sul cittadino è invece già figura del paventato avvento della tecnoscienza, che lascia intravedere in un futuro molto prossimo una società preda di pulsioni irrazionali, guidata da una élite di tecnocrati e di esperti di comunicazione.