Migrazioni - 9788897806844

Migrazioni: Questa ricerca di Guido Boffi tenta anzitutto un'indagine archeologica sul concetto di "migrazione". Vi muove da una scena primaria: la chiamata di Abramo in tre versetti del Genesi. La memoria ebraica vi si è richiamata ripetutamente per fondare e articolare precisi rapporti di potere ben rilevabili su piani di riflessione teologico- e filosofico-storica. Ricomporre il problema rispetto al quale il concetto di migrazione è stato inventato e il sapere locale che vi è emerso può risultare utile per affrontare teoricamente gli odierni scenari di trasmigrazioni, diaspore, fughe da paesi in guerra. Cioè per pensare i soggetti politici che agiscono su tali teatri e sulle loro scene nascoste nel mondo del comando capitalistico. Uno sguardo che affonda sulla globalità del dominio neoliberale, digitale, postcoloniale. Sulle negazioni della mobilità, della spazialità, della libera costituzione e scelta di luoghi dove lavorare, abitare, entrare in cerchie di relazioni e cooperazioni. Come pensarvi gesti di rottura e di ricomposizione delle lotte? Quale estetica politica può radicarsi nella trama sensoriale del vivente e insieme dare voce alla tensione interna tra gesti di integrazione e di esclusione dalle comunità, alle prospettive emancipatrici di trasformazione?
This research by Guido Boffi first of all attempts an archaeological investigation on the concept of "migration". It starts with a primary scene: Abraham's call in three verses of Genesis. Jewish memory has repeatedly referred to it in order to found and articulate precise power relations that can be clearly seen on theological, philosophical-historical levels of reflection. Recomposing the problem with respect to which the concept of migration was invented and the local knowledge that has emerged from it can be useful to theoretically deal with today's scenarios of transmigration, diasporas, and flight from countries at war. That is, to think about the political subjects who act on such theaters and their hidden scenes in the world of capitalist command. A gaze that sinks into the globality of neoliberal, digital, postcolonial domination. On the negations of mobility, spatiality, the free constitution and choice of places to work, live, enter circles of relationships and cooperation. How can we think of them as gestures of rupture and recomposition of struggles? What political aesthetics can be rooted in the sensory fabric of the living and at the same time give voice to the internal tension between gestures of integration and exclusion from communities, to the emancipatory perspectives of transformation?