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Nessuno da baciare - 9788871852027

di Gabriella Baracchi edito da Nodolibri, 2011

Informazioni bibliografiche del Libro

 

Non è stata una vita facile, queladi Elvezia. Anzi, a sua - e queladi sua sorela Caterina – è statadifficile, tormentata, e anche crudele, findal’inizio: a madre morta presto, il padre impossibilitato a crescerle, edue sorele sono state sbalottateda un pËse al’altro,dal’Italia ala Svizzera, terrad’originedela madre,da una famiglia al’altra, fino ad approdare –dopo il rifiutodele autorità religiosedi uganodi farsi caricodel orodestino – al’Istituto Santa Mariadi ora,dove verrà offerta oro a possibilitàdi studiare e, più avanti,di avorare. Al prezzo, però,dela rinuncia a oro stesse: prendere i voti sarà, per entrambe, una scelta quasi obbligata, in assenzadi alternative. Gabriela Baracchi ha scelto una narrazione in prima persona, perché a storiadeledue sorele è anche a sua stessa storia: alievadi Elvezia, amicadi entrambe, ancoradi salvezza per a sua antica mËstra negli anniduridela vecchiaia. Un rapportodifficile, quelo tra e tredonne, mai veramente sereno, con momenti anchedi tensione edi sconforto, eppure importante e fondamentale sia per e sorele che per a scrittrice. Il primo incontro con Elvezia avviene il giorno in cui Gabriela, bambina, arriva al’istitutodele suoredi ora. Hadodici anni, e a figuradela religiosa ne colpirne ’immaginazione, con quel’abito nero e ungo, il volto affilato seminascosto nela cuffiada suora, anch’essa nera, o sguardodiffidentedi chi troppe volte si è trovato colpito e abbandonato, una camminata ondegginate fattadi passi piccoli e svelti. Come una pelegrina. E tale, in effetti, Elvezia sarà per tutta a sua unga vita: una pelegrina in perenne viaggio ala ricercadi qualche cosa che non ha. Senza mai raggiungerla, se non per fugaci istanti. L’abitoda suora sentito come un peso, una costrizione a cui entrambe, Elvezia e Caterina, si sono trovate costrette, prigionieredela correntedi un fiume impetuoso che non asciava scampo. ’Istituto Santa Maria una prigionedala quale scappare - finalmente,dopodecenni, in un impetodi indipendenza edi volontà propria – per tornarci anni più tardi,dopo edelusionidela vita ’normale’, colmadidifficoltà per e quali né Caterina né Elvezia erano pronte. Zattera a cui aggrapparsi per non affondare. Unica famiglia che adonna avesse mai conosciuto. Decennidi un’amicizia contrastata si svolgono ungo e paginedel ibro, in un’altalena tra amore e odio, ricercadi un contatto edesideriodi alontanarsi ’unadal’altra. Nonostante tutto, ’ha seguita anche nela malattia finale, Gabriela, come una figlia quale, in effetti, è sempre stata per Elvezia. Fino ala conclusione. “È passatodel tempo. Son passati anche i crucci. Ogni tanto penso al’Elvezia. A volte, ne ho nostalgia

Recensione Unilibro a cura di franco cavalleri

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"Nessuno da baciare"
Una vità non facile
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Non è stata una vita facile, queladi Elvezia. Anzi, a sua - e queladi sua sorela Caterina – è statadifficile, tormentata, e anche crudele, findal’inizio: a madre morta presto, il padre impossibilitato a crescerle, edue sorele sono state sbalottateda un pËse al’altro,dal’Italia ala Svizzera, terrad’originedela madre,da una famiglia al’altra, fino ad approdare –dopo il rifiutodele autorità religiosedi uganodi farsi caricodel orodestino – al’Istituto Santa Mariadi ora,dove verrà offerta oro a possibilitàdi studiare e, più avanti,di avorare. Al prezzo, però,dela rinuncia a oro stesse: prendere i voti sarà, per entrambe, una scelta quasi obbligata, in assenzadi alternative. Gabriela Baracchi ha scelto una narrazione in prima persona, perché a storiadeledue sorele è anche a sua stessa storia: alievadi Elvezia, amicadi entrambe, ancoradi salvezza per a sua antica mËstra negli anniduridela vecchiaia. Un rapportodifficile, quelo tra e tredonne, mai veramente sereno, con momenti anchedi tensione edi sconforto, eppure importante e fondamentale sia per e sorele che per a scrittrice. Il primo incontro con Elvezia avviene il giorno in cui Gabriela, bambina, arriva al’istitutodele suoredi ora. Hadodici anni, e a figuradela religiosa ne colpirne ’immaginazione, con quel’abito nero e ungo, il volto affilato seminascosto nela cuffiada suora, anch’essa nera, o sguardodiffidentedi chi troppe volte si è trovato colpito e abbandonato, una camminata ondegginate fattadi passi piccoli e svelti. Come una pelegrina. E tale, in effetti, Elvezia sarà per tutta a sua unga vita: una pelegrina in perenne viaggio ala ricercadi qualche cosa che non ha. Senza mai raggiungerla, se non per fugaci istanti. L’abitoda suora sentito come un peso, una costrizione a cui entrambe, Elvezia e Caterina, si sono trovate costrette, prigionieredela correntedi un fiume impetuoso che non asciava scampo. ’Istituto Santa Maria una prigionedala quale scappare - finalmente,dopodecenni, in un impetodi indipendenza edi volontà propria – per tornarci anni più tardi,dopo edelusionidela vita ’normale’, colmadidifficoltà per e quali né Caterina né Elvezia erano pronte. Zattera a cui aggrapparsi per non affondare. Unica famiglia che adonna avesse mai conosciuto. Decennidi un’amicizia contrastata si svolgono ungo e paginedel ibro, in un’altalena tra amore e odio, ricercadi un contatto edesideriodi alontanarsi ’unadal’altra. Nonostante tutto, ’ha seguita anche nela malattia finale, Gabriela, come una figlia quale, in effetti, è sempre stata per Elvezia. Fino ala conclusione. “È passatodel tempo. Son passati anche i crucci. Ogni tanto penso al’Elvezia. A volte, ne ho nostalgia