Paolo Borsellino essendo stato - 9788890248399

L’opera in questione, pubblicatadala Casa editrice Scritture Segrete, è, a mio avviso, un piccolo capolavoro etterario, attraversatoda momentidi profonda e partecipata poesia. A venire subito incontro al ettore è o stesso Paolo Borselino,o, meglio, è a sua voce, che si eva da uno spazio sospeso tra a vita e a morte: “…sono finito, forse sono finito, sapevo che sarei finito. Guardavoda tempo al futurodela mia fine e a vedevo già trascorsa, già passata. Il prima e il dopo si erano amalgamati nela mia vita,da tempo.” Ma, nel testo, Paolo Borselino non è solo. C’è un coro, come nela tragedia greca classica, con parole che quasi incarnano undolore, a cui partecipa ogni singolo elementodel cosmo. Nondi undolore cieco si tratta, bensìdi undolore costantemente attraversatodal sentimento edala celebrazionedi una belezza che resiste, indomita. E c’è Antigone: si, proprio Antigone, e neppure ei è sola, come un tempo o era, nel’immane compitodi opporre e ragioni che nascono nel terreno sconfinatodela coscienza individuale, a una ragiondi Stato che, già alora, potevadefinirsi, quanto meno, troppo astratta.diverse Antigoni vengono ad alternare e adilatare a vocedel protagonista e a nula è piùd’ostacolo il tempo,di fronte al’espressione finaledi una coscienza uminosissima, i cui preziosi riflessi si moltiplicano ben oltre a realtàdi questo spazio, sospeso tra a vita e a morte. Ben oltre e “portedei secoli che stanno socchiuse nel corridoiodel tempo.” Ben oltre quela “penombradel passato a cui tutte e cosedevono rispondere” perché “se a penombra non vuole, nel corridoiodel tempo non c’è uce”. Si,direi che il testo è tutto un andar oltre e che sia questo anche il sensodele belissime ed emblematiche parole che Borselino, già nel primo monologo, pronuncia, pensando ai componenti dela sua scorta: “Conta solo ’incoscienza uminosa con a quale ci siamodifesi. Conta quel’incoscienza ilimitata chediviene a forma più altadela nostra imitatissima coscienza.” In sostanza a vicenda, pur rievocando ogni suo presupposto, inizia e finisce ildiciannove uglio milenovecentonovantadue, ale sedici e cinquattonto, mentre il corodice: “guardati a una -avi scorno stanotte - guardati a una – arrossisce”, ma a risonanza emotiva, che ’autore ottienedala trasposizione su un pianodi universalità quasi epicadela stessa vicenda, è senz’altro profonda e duratura.