L'isola di Sachalin - 9788845931680

L'isola di Sachalin: «Per quanto si riferisce a me, non provo appagamento alcuno per il mio lavoro, perché lo trovo meschino» scriveva Cechov all'amico Suvorin nel 1888. «Se è ancor troppo presto per lamentarmi, non lo è mai abbastanza per domandarmi: mi occupo di una cosa seria o di sciocchezze?». Il viaggio che, armato solo del passaporto e di una tessera di corrispondente di «Novoe vremja», intraprenderà due anni più tardi per studiare la vita dei deportati nella colonia penale di Sachalin è la drastica risposta a questo interrogativo. Sbarcato ai confini del mondo, in un luogo dove Puskin e Gogol' sono incomprensibili e inutili e «l'anima è invasa da quel sentimento che, forse, ha già provato Odisseo mentre navigava per mari sconosciuti», Cechov riuscirà-malgrado il boicottaggio delle autorità e un clima che «predispone ai pensieri più foschi» - a penetrare nell'inferno della katorga e a denunciare, con una precisione e un'obiettività dietro le quali fremono pietà e indignazione, il fallimento di un sistema dominato da ingiustizia e corruzione, e colpevole di infliggere «il grado infimo di umiliazione sotto il quale un uomo non può scendere». Ma riuscirà anche a fissare nitidissime visioni di sconvolgente bellezza: le contadine che nella valle dell'Arkaj, per ripararsi dalla pioggia, si legano intorno al capo gigantesche foglie di bardana e «sembrano scarabei verdi»; le lunghe strisce di sabbia che separano il Golfo di Nyj dal mare tetro e malvagio; i giljaki, dai larghi sorrisi beati che possono lasciare posto a un'aria «dolorosamente pensierosa, un po' come le vedove»; le donne ainu dalle
"As far as I'm concerned, I don't feel any satisfaction for my work, because I find it petty," Chekhov wrote to his friend Suvorin in 1888. "If it is still too early to complain, it is never enough to ask me: do I deal with a serious thing or nonsense?" The journey which, armed only with a passport and a correspondent's card of 'Novoe vremja', will undertake two years later to study the lives of the deportees in the penal colony of Sakhalin is the drastic answer to this question. Landed at the borders of the world, in a place where Puskin and Gogol' are incomprehensible and useless and "the soul is invaded by that feeling that, perhaps, he has already experienced Odysseus while sailing through unknown seas", Chekhov will succeed-despite the boycott of the authorities and a climate that "predisposes to the darkest thoughts" - to penetrate the hell of the katorga and to denounce, with a precision and objectivity behind which pity and indignation tremble, the failure of a system dominated by injustice and corruption, and guilty of inflict "the degree of indefincing humiliation under which a man cannot descend." But it will also be able to fix very clear visions of shocking beauty: the peasants who in the Arkaj valley, to shelter themselves from the rain, tie around the head gigantic burdock leaves and "look like green beetles"; the long strips of sand that separate the Gulf of Nyj from the gloomy and wicked sea; the giljaki, with wide blissful smiles that can give way to an air "painfully thoughtful, a bit like widows"; women ainu from