La penultima bontà. Saggio sulla vita umana - 9788834337813

La penultima bontà. Saggio sulla vita umana: Penultima bontà: perché quell'aggettivo? Perché 'penultima'? Domanda legittima, persino scontata, di fronte al titolo di questo libro del filosofo catalano Esquirol, la cui risposta si snoda lungo pagine di parole semplici e dense insieme, calde e profondamente vere, scritte con finezza di tessitura letteraria e originalità di pensiero. Abbiamo davvero bisogno di uscire da quell'orizzonte di senso che ingabbia la vita umana tra un inizio perfetto e perduto e una fine ineluttabile e definitiva, perché quello che avvertiamo, con la certezza di un'esperienza che ci percorre continuamente dalla pelle al cuore mentre viviamo qui e ora, è che il mistero della vita non risiede in un paradiso impossibile da cui siamo stati cacciati né nell'ultimità della morte, ma nella penultimità, appunto, della vita che vive e si sente vivere. Questa, ci dice qui Esquirol dialogando con il libro della Genesi, con Platone, con san Francesco e Zarathustra/Nietzsche, con Heidegger, Simone Weil e tante altre voci del pensiero filosofico, è la caratteristica propria dell'umano: sentirsi vivere, essere coscienti di un'esperienza vitale che non si fa rinchiudere, ma vibra e pensa e ama scoprendosi imperfetta, spesso ferita, mai compiuta e sempre penultima, eppure proprio per questo capace di riconoscere la stessa condizione negli altri e di creare comunità. Una comunità fraterna che vive ai 'margini', per usare la bella espressione con cui Esquirol indica il quotidiano, fatto di crepe, di deserto, di fatica, ma anche di prossimità, di resistenza, e soprattutto di cura e di gratitudine.
Penultimate goodness: why that adjective? Why 'last'? A legitimate question, even a foregone conclusion, in front of the title of this book by the Catalan philosopher Esquirol, whose answer unfolds along pages of simple and dense words together, warm and deeply true, written with finesse of literary weaving and originality of thought. We really need to get out of that horizon of meaning that cages human life between a perfect and lost beginning and an inescapable and definitive end, because what we feel, with the certainty of an experience that continuously travels us from the skin to the heart as we live here and now, is that the mystery of life does not lie in an impossible paradise from which we have been driven neither in the last of death, but in the penlast, precisely, of life that lives. This, Esquirol tells us here, in dialogue with the book of Genesis, with Plato, with St Francis and Zarathustra/Nietzsche, with Heidegger, Simone Weil and many other voices of philosophical thought, is the characteristic of the human: to feel, to be aware of a vital experience that is not locked up, but vibrates and thinks and loves discovering itself imperfect, often wounded, never accomplished and always penultimate, yet precisely for this able to recognize the same condition in others. A fraternal community that lives at the 'margins', to use the beautiful expression with which Esquirol indicates the daily life, made of cracks, desert, fatigue, but also of proximity, resistance, and above all of care and gratitude.