Per una filosofia del tragico. Tragedie greche, vita filosofica e altre vocazioni al dionisiaco - 9788857557373

Per una filosofia del tragico. Tragedie greche, vita filosofica e altre vocazioni al dionisiaco: Ancora sentiamo levarsi dall'Antica Grecia il terribile pianto di un capro sacrificale. Alle urla strazianti di dolore si uniscono i canti commossi e le danze sfrenate in onore di Dioniso: la tragedia nasce come un sacro rituale di compartecipazione al ciclo di vita, morte e rinascita. Nell'epoca del consumismo e del "tutto subito", abbiamo urgente bisogno di una filosofia del tragico, aperta alla complessità simbolica della vita. In questa direzione, l'Euripide di "Baccanti" ci consegna un Dioniso daimon, mediano, misterioso e contraddittorio; incarnazione dell'eccesso panico così come maestro di una puntuale presenza all'istante - l'autentico compito di ogni filosofia. Dioniso lo Straniero, ma secondo soltanto ad Atena nei festeggiamenti; Dioniso l'Androgino, l'irrazionale, l'addolorato: molteplici nomi tentano di definirlo, nessuno riesce mai a comprenderlo. Perché la filosofia dovrebbe dunque, e provocatoriamente, occuparsi del tragico? Cosa significa rispondere a una vocazione al dionisiaco? E perché questo ci riguarda?
We still hear the terrible cry of a sacrificial goat rising from Ancient Greece. The excruciating screams of pain are joined by the moving songs and wild dances in honor of Dionysius: tragedy is born as a sacred ritual of sharing the life cycle, death and rebirth. In the age of consumerism and "everything immediately", we urgently need a philosophy of the tragic, open to the symbolic complexity of life. In this direction, the Euripides of "Baccanti" gives us a Dionyyles daimon, median, mysterious and contradictory; embodiment of the panic excess as well as master of a punctual presence instantly - the authentic task of every philosophy. Dionyyyyin the Stranger, but second only to Athena in the festivities; Dionyyin the Androgynous, the irrational, the distressed: many names try to define it, no one can ever understand it. Why should philosophy, therefore, and provocatively, deal with the tragic? What does it mean to respond to a vocation to the Dionysian? And why is this about us?