La ragione negli affetti. Radice comune di logos e pathos - 9788834314371

La ragione negli affetti. Radice comune di logos e pathos: A prima vista, il percorso dell'etica occidentale appare segnato da un'ostilità irriducibile tra logos e pathos. L'affanno filosofico principale sembra dovuto al tentativo di limitare il commercio con le passioni, assumendo il controllo razionale dell'esperienza. Ma più il logos ha cercato di mantenersi puro, più le passioni si sono scatenate, divenendo il controcanto della ragione. Oggi l'antica discordia si è lentamente trasformata in una separazione senza ritorno. Così, da una parte, il pathos è celebrato nella forma privata e insindacabile dell'emozione; dall'altra, il logos si muove entro la corta misura della ragione scientifica. Dipende dalla premessa: se il pathos è "alogon", cioè un "altrove" irrazionale della razionalità, allora è impossibile rimediare a un'estraneità così radicale. Se l'affettivo è concepito come un modo di funzionare che è proprio della ragione, se pathos e logos hanno una radice comune, allora c'è spazio per comporne l'unità. Muovere da questa seconda premessa non pare insensato: persino coloro che hanno inteso difendere la purezza della ragione, come gli Stoici, Platone, Descartes, Spinoza, Kant, non sono così lontani dall'idea di una primordiale e reciproca afferenza di logos e affettività. Idea che la tradizione classica è stata capace di pensare e che la fenomenologia ha in qualche modo reinventato accreditando la consapevolezza che una soggettività razionale finita, situata in un corpo, è pensabile a partire dalla presenza della ragione negli affetti.
At first glance, the location of Western ethics appears marked by an irreducible hostility between logos and pathos. The main philosophical wheezing sounds due to the attempt to restrict trade with the passions, assuming the rational control of the experience. But the more the logos sought to keep themselves pure, more passions were unleashed, becoming the counterpoint of reason. Today the ancient contention has slowly turned into a separation without return. So, on the one hand, the pathos is celebrated in a private ceremony and sole of the emotion; on the other, the logos moves within the short measure of scientific reason. Depends on the premise: If the pathos is "alogon", i.e. a "elsewhere" irrational rationality, then you cannot rectify an alienation so radical. If the affection is conceived as a way of working that is proper to reason, if pathos and logos have a common root, then there is room to compose the unit. Act upon this second premise does not seem unreasonable: even those who intend to defend the purity of reason, as the Stoics, Plato, Descartes, Spinoza, Kant, are not so far removed from the idea of a mutual afference of primordial logos and affectivity. The idea that the classical tradition was capable of thinking and that phenomenology has somehow reinvented by crediting the knowledge that a rational subjectivity over, located in a body, is unthinkable from the presence of reason in the affections.