Polvere di ferro. Tre racconti alle origini del realismo americano - 9788860365866

Polvere di ferro. Tre racconti alle origini del realismo americano: Siamo nel 1861 a Wheeling, West Virginia, al confine fra Sud e Nord, sull'orlo della guerra civile. Le "oscure sataniche officine" della rivoluzione industriale sono un territorio ancora quasi inesplorato dalla letteratura, e Rebecca Harding Davis - all'epoca sconosciuta scrittrice di provincia - si addentra, con il suo racconto "Vita nelle ferriere", nella luce rossa di questa città di fabbriche che pongono una domanda inespressa e terribile: che cos'è questo mondo nuovo? E davvero degna di chiamarsi "vita", quella che si agita in quei luoghi? Al centro della narrazione c'è Hugh Wolfe, operaio, spossato dalla fatica e avvilito dall'ignoranza, che ruba dalla fabbrica gli scarti della lavorazione del ferro per dar vita a un'opera d'arte: le membra possenti di una donna abbrutita dalla fatica, ma pervasa da una brama indistinta, le mani protese ad afferrare il vuoto, la bocca spalancata in un grido di desiderio senza suono. A raccontare la storia è una donna, reclusa in casa, che riconosce nella piccola scultura e nel suo disperato creatore non solo la testimonianza di una condizione operaia ancora invisibile, ma anche la metafora di altre esclusioni, a partire da quella femminile; il grido muto della statua è anche l'anelito di espressione, di creazione, di libertà della narratrice, nonché dell'autrice, in un'età soffocante di "domesticità" idealizzata. Introduzione di Alessandro Portelli.
We are in 1861 at Wheeling, West Virginia, on the border between South and North, on the brink of civil war. The "dark Satanic factories" of the industrial revolution are still almost unexplored territory from literature, and Rebecca Harding Davis-at that time unknown writer of province-enters, with his short story "life in ferriere", in the red light of the factories posing an unspoken question and terrible: what is this brave new world? And really worthy of being "life," one that stirs in those places? At the center of the narrative there is Hugh Wolfe, workman, exhausted by fatigue and disheartened by ignorance, which steals from the factory iron scraps to create a work of art: the mighty limbs of a woman brutalized by fatigue, but filled with a lust indistinct, hands outstretched to grasp the emptiness, her mouth wide open in a cry of desire without sound. To tell the story is a woman, recluse at home, which recognizes the small sculpture and his desperate creator not only testimony to a working condition still invisible, but also a metaphor for other exclusions, starting from the female one; the silent cry of the statue is also the desire of expression, creation, freedom of the narrator and the author, in an age of suffocating "domesticity" idealized. Introduction of Alessandro Portelli.