I russi - 9788845930416

I russi: Nel 1928 Landolfi è studente all'Università di Firenze. Dai corsi ufficiali, però, si tiene "a rispettosa distanza": la sua unica, "beata", occupazione è parlare per notti intere di letteratura con gli amici Carlo Bo, Leone Traverso e Renato Poggioli. "Lì era la nostra università," ricorda "a quella vera non andavamo mai". E grazie a Poggioli che scopre la letteratura russa: e in questa disciplina, che a Firenze allora nessuno professava, si laureerà nel 1932 con una tesi sull'opera di Anna Achmatova. Intanto, nel 1930, sono usciti un racconto, Maria Giuseppa, e la recensione al Re Lear delle Steppe di Turgenev: il suo doppio destino - di scrittore e di slavista - è segnato. Ma slavista è forse il termine meno adatto. Incontrando la letteratura russa, Landolfi incontra in realtà una parte di sé: e l'"uomo superfluo" - in cui confluiscono senso di estraneità, stanchezza spirituale, profondo scetticismo - diventa uno specchio nel quale non cesserà di guardarsi. Per non parlare del dualismo morale, dei fantasmi, dell'innocenza russa, di Gogol' e Dostoevskij, che entrano stabilmente fra gli agenti attivi della sua immaginazione, per poi rifluire nella narrativa. Non meraviglia allora che in Russia Landolfi non sia mai andato: quel paese era per lui, e sarebbe rimasto, un'immagine, la matrice di una letteratura consegnata a un "eterno romanticismo", nonché di scrittori irriducibili agli schemi, capaci di ricreare da capo il proprio mondo.
In 1928 Laddu is a student at the University of Florence. By the official exchange rates, however, held "a respectful distance": its unique, "blessed", employment is to speak for entire nights of literature with friends Carlo Bo, Leone Traverso and Renato Poggioli. "There was our University," remembers "the real one we weren't ever". And thank you to Parker who discovers the Russian literature: and in this discipline, which in Florence then no one professed, will graduate in 1932 with a thesis on the work of Anna Akhmatova. Meanwhile, in 1930, dropped out a story, Maria Josefa, and review the King Lear of the steppes of Turgenev: his double destiny--as a writer and Slavophile-is marked. But a Slavist is perhaps the term less suitable. Meeting with Russian literature, Lai meets actually a part of himself, and the "superfluous man"-where the sense of alienation, spiritual weariness, deep skepticism-become a mirror in which will not cease to look. Not to mention the moral dualism, ghosts of Russian innocence Gogol and Dostoyevsky, entering steadily between the active agents of his imagination, and then ebb in fiction. No wonder then that in Russia Lai has never gone: that country was for him, and would remain, a picture, the matrix of a literature delivered to an "eternal romance", as well as writers diehards to schemas, able to recreate from scratch his own world.