In che lingua sogno? - 9788806197391

In che lingua sogno?: Nata a Mosca nel 1954 (un anno dopo la morte di Stalin); cresciuta a Praga (intorno allo spartiacque del 1968) e poi ad Amburgo (dove matura la prima consapevolezza di essere ebrea); compiuti gli studi a Tel Aviv (negli anni a cavallo fra la Guerra del Kippur e quella del Libano); divenuta madre per la prima volta a Ottawa, la seconda ad Haifa e nello stato di New York la terza; approdata come scrittrice ed editor a Londra, Elena Lappin è un perfetto esempio di espatriata in perenne movimento geografico e umano. Questo suo memoir è dunque storia privata e famigliare (e le famiglie nel suo caso sono plurali), ma in un certo senso anche dell'Europa nella seconda metà del Ventesimo secolo. Linguistica è la domanda che Lappin si pone nel titolo, e che altre ne sottintende: in che lingua parlo, penso, amo? In che lingua vivo? Infine, in che lingua scrivo? E linguistici sono gli strumenti con cui prova a darsi risposta. Svariati idiomi scandiscono la sua infanzia, l'adolescenza, lo studio, gli affetti, gli amori, il lavoro, lo sguardo. Si affiancano l'uno all'altro, sommandosi fino a diventare il suo patrimonio genetico, il luogo stesso della sua esistenza. Il russo dell'infanzia, dolce come una ciotola di ciliegie: «Mio nonno mi fece il dono di preservare la mia prima lingua, il russo, che sembrava destinata ad essere la mia lingua madre. Ma non lo fu». Il ceco, appreso con facilità, come sempre i bambini, quando la madre la porta con sé a Praga dove Elena, quattrenne, si impadronisce perfino di quella peculiare vena ironica e arguta che sostanzia la letteratura ceca. Il tedesco
Born in Moscow in 1954 (a year after Stalin's death); she grew up in Prague (around the watershed in 1968) and then in Hamburg (where she first became aware of being Jewish); studied in Tel Aviv (in the years between the Kippur War and the Lebanon War); she became a mother for the first time in Ottawa, the second in Haifa and in New York State the third; As a writer and editor in London, Elena Lappin is a perfect example of an expatriate in perennial geographical and human movement. This memoir is therefore private and family history (and the families in his case are plural), but in a sense also of Europe in the second half of the twentieth century. Linguistic is the question that Lappin asks himself in the title, and what others imply: in what language do I speak, I think, love? What language do I live in? Finally, in what language do I write? And linguistics are the tools with which he tries to answer. Several idioms mark his childhood, adolescence, study, affections, loves, work, gaze. They side with each other, adding to it to become its genetic heritage, the very place of its existence. The Russian of childhood, sweet as a bowl of cherries: "My grandfather gave me the gift of preserving my first language, Russian, which seemed destined to be my native language. But it wasn't." The Czech, learned with ease, as always the children, when her mother takes her with her to Prague where Elena, 14 years old, even takes possession of that peculiar ironic and witty vein that substantiates Czech literature. The German