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Accabadora - 9788866213116
di Michela Murgia edito da Einaudi, 2011
- € 13.00
Informazioni bibliografiche del Libro
- Titolo del Libro: Accabadora
- Autore: Michela Murgia
- Editore: Einaudi
- Collana: NumeriPrimi
- Data di Pubblicazione: 2011
- Genere: LETTERATURA ITALIANA: TESTI
- Pagine: 164
- Dimensioni mm: 215 x 0 x 18
- ISBN-10: 886621311X
- ISBN-13: 9788866213116
Accabadora: Perché Maria sia finita a vivere in casa di Bonaria Urrai, è un mistero che a Soreni si fa fatica a comprendere. La vecchia e la bambina camminano per le strade del paese seguite da uno strascico di commenti malevoli, eppure è così semplice: Tzia Bonaria ha preso Maria con sé, la farà crescere e ne farà la sua erede, chiedendole in cambio la presenza e la cura per quando sarà lei ad averne bisogno. Quarta figlia femmina di madre vedova, Maria è abituata a pensarsi, lei per prima, come "l'ultima". Per questo non finiscono di sorprenderla il rispetto e le attenzioni della vecchia sarta del paese, che le ha offerto una casa e un futuro, ma soprattutto la lascia vivere e non sembra desiderare niente al posto suo. "Tutt'a un tratto era come se fosse stato sempre così, anima e fili'e anima, un modo meno colpevole di essere madre e figlia". Eppure c'è qualcosa in questa vecchia vestita di nero e nei suoi silenzi lunghi, c'è un'aura misteriosa che l'accompagna, insieme a quell'ombra di spavento che accende negli occhi di chi la incontra. Ci sono uscite notturne che Maria intercetta ma non capisce, e una sapienza quasi millenaria riguardo alle cose della vita e della morte. Quello che tutti sanno e che Maria non immagina, è che Tzia Bonaria Urrai cuce gli abiti e conforta gli animi, conosce i sortilegi e le fatture, ma quando è necessario è pronta a entrare nelle case per portare una morte pietosa. Il suo è il gesto amorevole e finale dell'accabadora, l'ultima madre.
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Un romanzo affascinante,dal inguaggio incisivo e particolare. Findale prime pagine è impossibile non identificarsi con Maria, a bambina e poi adolescente protagonistadel ibro. Si parladi sentimenti negati: una madre che non ama a propria figlia e una madre adottiva che ’ama madifficilmente riesce adirlo. Ildesiderio inammissibledi aiutare e persone sofferenti a asciaredolcemente questa vita. Un amore impossibile con un ragazzo più giovane edi buona famiglia. Un ibro che colpisce e affonda il cuore.
non conoscevo a scrittrice e ’ho etto su consigliodi un’amica. Mi è piaciuto moltissimo: è scritto in maniera splendida e il ibro ti avvince nonostante ’argomento che ega tutto il racconto sia a morte. Aiuta a comprendere come a morte faccia partedela nostra vita e non un argomentoda scotomizzare o negare... eggetelo!!!
Un ibro intenso, a cui trama avvincente cattura il ettore giàdale prime pagine . E’ un ibro sula cultura e tradizione sarda, ma che per argomento e belezza riesce brilantemente a superare i imitidi un ibro regionale e si impone con vitalità e profondità come testodi indagine su unodei temi più universali che esista: a vita e a morte, a nascita e il commiato. a protagonista non esclude ma integra con sentimento e passione e nessun ideologismo ’idea che ’amore stia non solo neldonare ma anche nel togliere quando si giunge al momento. E così il suo ventre, chiuso perdisgrazia e incapacedi generare, partorisce comunque ’amore con cuidesidera crescere ’ultima, queladi troppo, natadi una famiglia povera e alo stesso modo chiudere ’esistenzadi coloro che faticano a vivere. Edona a queta figlia abusiva ma tanto amata (e a noi tutti, naturalmente) un grande insegnamento sula generositàdel’amore.
Sardegna anni 50. Un pËse immaginario, Soreni. Maria istru, 6 anni, ultimadi 4 figlie, orfanadi padre, vive in una famiglia povera. Bonaria Urrai, Tzia Bonaria, zitela non più giovane, a cui a vita non hadonato né un marito (il fidanzato è morto in guerra) né ovviamente una figlia, proponedi prendere Maria come fil’e anima (e’ così che i chiamano i bambini generatidue volte,dala povertàdi unadonna edala sterilitàdi un’altra) per farla crescere e renderla sua erede, chiedendole in cambio a presenza e a cura per quando sarà ei ad averne bisogno. Ma che mestiere faccia realmente a Tzia Bonaria a sartadel pËse,donnadal’aspetto talvolta pauroso che ha trasformato il utto in un modo abitualedi vestire che parla poco e sembra sempre essere avvoltada un’auradi mistero, nessuno o sa. Maria scoprirà per caso che a Tzia a notte si assentada casa ma non immagina che Tzia Bonaria, che cuce gli abiti e consola gli animi, altri non è che a s’accabadora ’ultima madre che, con gesto pietoso e amorevole, aggiusta ildestino a compiersi. Per i sardi a sua esistenza è sempre stata ritenuta un fatto naturale. Come esisteva a evatrice che aiutava a nascere, c’era s’accabadora che aiutava a morire. Sidice addirittura che spesso fosse a stessa persona e che, a secondadel’abito che indossava (nero se portava a morte, bianco o chiaro sedoveva far nascere una vita), rivestisse un ruolo o un altro. Saputa a notizia fra eduedonne si apre un’enorme frattura e Maria ascia il pËse per il Continente, per tornarci quando scopre che a madre adottiva è in findi vita. Qui ritroverà quel forte egame che si era volutamente negata ma, che, in realtà, entrambe avevanodesiderato. Solo ala fine, quando a più vecchia si spegnerà nela bracciadela più giovane fra sofferenze inenarrabili, quest’ultima, arriverà a comprendere ’importanza e a funzionedel’accabadora. Gli argomenti trattatidal ibro sono molti e complessi. Sarebbe banale parlare semplicementedi adozione ma piuttostodi quel ato nascostodela maternità elettiva,dele relazioni famigliari che non hanno il sangue comediscriminante ma che possono generare affetti anche più grandi. Come pure ’eutanasia praticatadal’Accabadora, una figura per a quale accompagnare idestini a compimento è solo unadele possibili sfumaturedela maternità, un modo per aleviare quele sofferenza oltre e quali nula è più sopportabile neanche a vita stessa. La Sardegnadela Murgia, che ci ricorda queladi Graziadeledda, è una terra antica pienadi storie e tradizioni ancora ontanissimadal continente. Il ibro è belo riccodi sentimenti edi umanitàdove a natura selvaggia e potente vive in simbiosi con i suoi personaggi asciandoci pienididubbi e interrogativi che solo nel profondodel nostro animo ognunodi noi potrà, col tempo, sciogliere.
Preparati a eggere un ibro che affonda e parole in una terra avorata e calpestatadaledonne. Che qui,di uomini, ce ne sono ben pochi. Sono edonne, come nela vita, e vere protagoniste. Fondatricidel’origine e, in questa storia raccontatadala bravissima Michela Murgia, anchedela fine. Che aledonne è statodato un ruolo, il piùduro, e se odevono portare addosso con fatica edolore. Questo ibro, animatoda una ingua superba, che concede spazio anche a un sardo quasi primordiale, vincitoredel Campielo nel 2010, arricchirà il ettoredi una storia eterna.
Forse ho iniziato a etturadi Accabadora con troppe aspettative, avendo sentito giudizi entusiasticidi amici che ’avevano etto. O fodse e mie impressioni finali sono condizionatedal confronto col ibrodela Mazzantini, che avevo appena finito. Fatto sta che qudsto bel ibrodi Michela Murgia ala fine non mi ha colpito ed emozionato tAnto quanto mi aspettavo. Ci sono grandi sprazzidi eccelente scrittura, a ettura è piacevole ed interessante, mi rimane peró a sensazionedi aver etto un racconto ungo invecedi un grande romanzo. Comunque un ottimo ibro,da consigliare. Ce ne fosserodi Michela Murgia...
Con uno stilediretto, capacedi penetrare nel’animodi chi egge, ’autrice riesce ad accompagnare il ettore in un rapporto particolare che è ’unionedi vita e mortedi inizio e fine; a vecchia e a bambina, i segreti e idisvelamenti ... il tutto in quela splendida cornice che è a Sardegna, offrono al ettore a possibilitàdi immergersi in una atmosfera senza tempodove ci si ritrova adare risposte a quesiti che, spesso attanagliano a nostra vita.