I Mimi - 9788845926426

I Mimi: Singh, giovane coloniale di origine indiana, lascia alla fine della seconda guerra mondiale la nativa Isabella, isola incastonata nello smalto turchese dei Caraibi, per andare a studiare a Londra, da cui, al termine dei corsi universitari, ripartirà con una moglie bianca e una valigia piena delle schegge dei suoi sogni. Tornato a casa, e diventato un imprenditore di successo, Singh decide di entrare in politica in un momento cruciale per la sua piccola patria, da poco avviata verso l'indipendenza. Ma, mentre è di nuovo a Londra per chiedere sussidi finanziari e aiuto politico alla ex potenza coloniale, i compagni di partito approfitteranno della sua assenza per escluderlo dal potere. A Singh, condannato a un duplice fallimento, non resta che fuggire i miasmi della sua terra, contaminata fin nell'essenza, per ritirarsi in un piccolo albergo alla periferia della metropoli inglese, dove si dedicherà alla stesura delle sue memorie, riflettendo sull'ominoso destino cui il cittadino coloniale pare votato. E giungerà all'inquietante quanto amara conclusione che il coloniale può soltanto rassegnarsi a essere una copia sfocata del colonizzatore: i mimi del Terzo Mondo sono condannati a perpetuare, in una tragica parodia, gesti non loro e a patire fino in fondo i tormenti di un morbo immedicabile - quello della marginalità.
Singh, a young Indian colonial, leaves at the end of World War II his native Caribbean island turquoise nail varnish set of Isabella, to study in London, where, at the end of college courses, will start with a white wife and a suitcase full of splinters of his dreams. Came home, and become a successful entrepreneur, Singh decided to enter into politics at a crucial time for his small homeland, recently initiated towards independence. But, while he was back in London to ask for financial assistance and political aid to the former colonial power, the party will take advantage of his absence to exclude him from power. Singh, condemned to a double failure, it remains only to flee the miasma of his land, contaminated since in essence, to retire to a small hotel on the outskirts of the English metropolis, where he dedicated himself to the writing of his memoirs, musing on the ominous fate that colonial citizens apparently voted. And will come to the uncanny how bitter conclusion that the colonial can only resign themselves to be a blurred copy of the colonizer: mimes of the third world are condemned to perpetuate, in a tragic parody, not their gestures and to endure to the end the torment of an untreatable disease-that of marginality.