Aurore d'autunno. Testo inglese a fronte - 9788845928697

Aurore d'autunno. Testo inglese a fronte: "Aurore d'autunno" - tra le più alte espressioni poetiche del Novecento - è un libro semplice: giunto alla soglia dei settant'anni, Stevens medita in pentametri giambici sulla propria vita, sulla poesia e, di fronte allo spettacolo incandescente della natura, accusa il fallimento dell'immaginazione. "Le aurore d'autunno" scrive nel novembre 1950 al suo agente letterario parigino "sono le notti di primo autunno, che a volte a Hartford hanno lo stesso riverbero dell'aurora boreale". E la loro "effulgescenza artica" impone un nuovo registro linguistico: abbandonato il tono sublime, il vecchio poeta lascia che affiorino parole semplici, piane. È una vera e propria svolta mistica, che ci rivela uno Stevens insolito, fortemente antiapocalittico, incline piuttosto all'immanenza, a un appassionato rapporto con la terra: l'uomo è colto nel suo habitat naturale che è fatto di tempo atmosferico, e se alza gli occhi al cielo non vi vede nessun dio, nessuna traccia. Piuttosto, nel riverbero della luce boreale, le cose appaiono di una solitudine cosmica, e lo sguardo si abitua a un'assenza di rivelazione. È qui il punto di svolta antiromantica, antimetafisica delle Aurore. L'autunno non è la stagione keatsiana della bellezza e della ricchezza dolce e matura: verso la fine della vita, la realtà appare più povera di desiderio, più priva di speranza - e perciò più vera. In questo senso Stevens è, più di Eliot e di Pound, il poeta dell'epoca moderna.
"Aurore"-among the highest poetic expressions-is a simple book: come to the threshold of 70 years, Stevens meditates in iambic pentameter in his own life, and poetry, in front of the glowing show of nature, the failure of imagination. "Autumn auroras" writes in November 1950 at his Parisian literary agent "are the nights of early autumn, sometimes in Hartford have the same reverb of the aurora borealis. And their "Arctic effulgescenza" imposes a new language log: abandoned the tone sublime, the old poet let me bring out simple words, flat. And a real breakthrough, mystical that reveals an unusual, Stevens strongly antiapocalittico, prone to immanence rather, a passionate relationship with the land: the man is caught in its natural habitat which is made of weather, and if alza gli occhi al cielo there sees no God, no trace. Rather, in the glare of lights, light things appear a cosmic solitude, and his eyes get used to the lack of revelation. And here's the turning point of the Northern antimetafisica, anti-romantic. Autumn is the season not keatsiana beauty and sweet and ripe richness: towards the end of life, the reality is poorer than desire, more devoid of hope-and therefore more real. In this sense, Stevens is more of Eliot and Pound, the poet of modern times.